Monnezza. Ciò che resta intatta è l'umiltà

Una produzione Fondazione Aida

di Simone Azzoni da Pier Paolo Pasolini
con Lorenzo Bassotto e Andrea Faccioli
musiche dal vivo di Andrea Faccioli (chitarra)
tecnico audio luci Matteo Pozzobon / Claudio Modugno
regia di Lorenzo Bassotto

Lo spettacolo s’ispira allo sciopero romano degli scopini del 1970. Gli scopini angeli scesi sulla terra, come li definì Pier Paolo Pasolini filmandoli in uno stupendo documentario. Era l’anno de l'autunno caldo, dello Statuto dei Lavoratori ma alcune categorie, gli spazzini appunto simili ai carusi delle solfatare, lavoravano ancora in condizioni miserrime. Prelevavano i rifiuti su per gli appartamenti secchio per secchio, casa per casa, riponendoli in sacchi di iuta accollati giù per le scale dei condomini.
Pasolini raccontò lo sciopero degli spazzini: i suoi versi descrivevano quei volti di uomini semplici e dignitosi, facce proletarie, zigomi scuri, volti di ragazzi cresciuti in borgata e diventati in fretta adulti e siccome a scuola non andavano finivano a fare quello ch'era "il peggiore dei mestieri". Eppure svolgevano con dedizione un lavoro che oggi si direbbe socialmente utile, lo svolgevano con la semplicità degli umili, secondo quella che il poeta definisce vocazione, rovesciando la condizione del ruolo da dannati a beati.
Lo spettacolo parla di uno di loro, uno spazzino tra la monnezza della città.
Lo spazzino monologa tra i rifiuti della città, tra i resti dei consumi, tra la monezza tutti i giorni lasciata lungo le strade.
Si muove tra le vie che hanno visto ragazzi di strada giocare a calcio. Ricorda il calcio di Pasolini e quello ai tempi del poeta. Usa l’atmosfera di Ragazzi di vita, Le Ceneri di Gramsci, Transumar e Organizzar e La nuova Gioventù.
Lo spazzino ridice con i pensieri che il poeta ha rilasciato in numerose interviste l’amore alla vita e alle cose e il suo sguardo, anche sui rifiuti e sull’immondizia, è quello di un “angelo” che tra le vie, raccoglie e abbraccia il ricordo della vita passata in strada.
Porte segnate con il gesso sui muri, palloni sgonfi abbandonati dormienti agli angoli del vicolo, una felpa sdrucita e una scarpa slacciata, due ruote di bicicletta, quattro sassi a marcare chissà quale confine sono le cose che parlano ancora di ciò che è rimasto intatto al passare del tempo.

Simone Azzoni

Ho immaginato che una città, una città come tante altre e simbolo di tante altre avvolgesse lo spazzino, fosse il suo mondo e la sua prospettiva. Ho pensato ad una città che ingoia e sputa immondizie come ingoia e risputa al suo interno le vite umane di tutti i giorni, la quotidianità dei passanti, il rumore delle voci delle strade.
La scelta di isolarle la narrazione in un monologo è per ri-dire la solitudine dei pensieri, la solitudine di una storia che è rivolta ad una città indecifrabile e indistinta.
Il monologo dialoga con i fantasmi che ancora percorrono le vie, quei volti scavati di lavoro e di fatica o quelli dei bimbi che nelle vie hanno creato i loro campi da calcio. Fantasmi che avvolgono le parole, le guidano e le conducono tra le immondizie.
Anche la lingua sottolinea la verità del lavoro e della realtà tanto cara a Pasolini, sarà una lingua marcata con decisione ed espressione dura come un marchio di fabbrica.

Lorenzo Bassotto


www.fondazioneaida.it

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